Mito
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Autore: Massimo Squillacciotti
Il termine m. ha, nel suo fondamento etimologico (dal greco mythos), il significato di ‘discorso, narrazione, racconto’.
Attributo costitutivo del termine è il suo legame con il connotato sociale: il m. è un racconto collettivo che, in connessione con altri m., si riferisce e ci riferisce intorno agli dei, agli eroi, all’origine dei popoli e del mondo; al culto che si accorda alle diverse figure e ai riti connessi a queste figure come alle concezioni fondative della natura; agli emblemi simbolici sotto i quali si rappresentano le attribuzioni di queste figure e parti della conoscenza.
Da qui deriva la definizione stessa del termine ‘mitologia’ come complesso dei m. che per un verso costituiscono una parte specifica del patrimonio sociale di tradizione orale di un popolo (ancorché successivamente trascritto), trasmesso nel tempo attraverso le generazioni; per un altro verso appartiene e riguarda il più generale sistema di credenze di un popolo, come parte del suo più ampio apparato simbolico.
Inoltre il m., come genere narrativo specifico, è caratterizzato:
a) dal non seguire la linearità temporale dei fatti, per cui gli episodi di uno stesso personaggio possono essere relazionati a tempi diversi e a personaggi ulteriori, indipendentemente dalla loro ipotetica distanza temporale;
b) dalla possibile contraddittorietà degli aspetti di configurazione dei fatti e dei personaggi, per cui la definizione o il riferimento simbolico di una stessa figura può essere, ad esempio, una volta la luce e un’altra volta l’oscurità, come una sua definizione caratteristica essere di volta in volta una o un’altra;
c) dall’essere un sistema aperto in cui le diverse versioni di uno stesso racconto possono, con il tempo, essere inglobate nel racconto stesso, come sua parte costitutiva, e ciò per il fatto che la funzione del m. è quella del riferire/produrre un racconto non tanto in sé, ma a partire dal suo senso al tempo della narrazione stessa o, meglio, della sua performance narrativa.
Dopo questo primo livello enunciativo è bene esplicitare come il termine m. sia carico di significati determinatisi storicamente sia nella prospettiva epica, cioè nell’ambito del processo di trasformazione che la specifica società detentrice dei m. ha subito nel tempo, sia nella prospettiva etica, cioè a seconda dei diversi approcci di studio elaborati da discipline esterne alle stesse aree culturali detentrici del m.
Per questo, per specificare il senso delle implicazioni semantiche avute nel corso del tempo dal termine, bisogna partire da alcuni momenti storici, verificandone il diverso portato.
In primo luogo, e seguendo la prospettiva epica, il significato originario di m. è proprio della cultura dell’antica Grecia e riscontrabile in autori come Omero ed Esiodo (sec. VII a.C.) e anche successivamente in Euripide (sec. V), con l’accentuazione però del legame concettuale del termine con quello di ‘tradizione’.
Poi, con il passaggio dalla oralità alla scrittura e, quindi, con la raccolta e messa in scrittura di racconti e storie tradizionali (dai m. alle genealogie, alle gesta eroiche, ecc.), è proprio a partire da quest’ultimo periodo che prima i logografi e poi filosofi e storici spostano il significato del termine a favore di ‘narrazione fantastica’. Infatti, già per il filosofo Senofane (sec. V), prima ancora che per Platone (sec. IV), il m. è frutto di invenzione ed erroneo; come anche per gli storici Tucidide (sec. V) e poi Erodoto (sec. I d.C.).
Con questo significato di ‘discorso metaforico e fantastico’, con questo nuovo connotato negativo di ‘finzione’, al termine mythos viene contrapposto concettualmente quello di logos, di ‘discorso razionale’ alla cui luce il popolo deve essere unitariamente governato ed educato. Questa contrapposizione è connessa a quella coeva tra oralità e scrittura, là dove i termini sono connessi anche trasversalmente (mythos-oralità, logos-scrittura).
Con questa accentuazione del significato di m. come narrazione fantastica, pur distinta da altri generi del patrimonio narrativo tradizionale (leggenda, favola, aneddotica, ecc.), si fa assumere al complesso dei m. un campo autonomo: quello della mitologia.
Ed è qui che, in epoca moderna, nel XIX secolo si apre la seconda prospettiva detta sopra con la nascita degli studi sulla mitologia, come campo d’indagine comparativo della dialettologia e dell’etnologia (M. Müller). I racconti mitologici delle antiche civiltà del Mediterraneo presentano analogie con i m. e i costumi dei popoli altri, che la moderna scienza linguistica e antropologica incontra per la prima volta direttamente sul terreno della ricerca empirica. Punto di unione tra i due campi, ma anche presupposto conoscitivo stesso di questi studi comparativi, è la concezione del m. come deposito di credenze accumulate e prodotto di una forma di pensiero propria, distinta e separata dal pensiero logico e scientifico sia dal punto di vista espressivo sin da quello conoscitivo, e interpretabile in una dimensione evoluzionistica.
Limitandoci agli studi etno-antropologici, possiamo seguire una panoramica sintetica delle diverse interpretazioni che del m. sono emerse nel corso del tempo.
1) L’interpretazione naturalistica (scuola tedesca) sostiene che ogni m. possiede, nella sua essenza e realtà ultima, un riferimento a un qualche fenomeno naturale, mentre per l’interpretazione storica (W. H. Rivers) esso rappresenta un documento del passato, elaborato in forme espressive sue proprie e connaturate al tipo di società che lo produce e che se ne avvale. Per entrambe il m. appartiene ed è espressione di un periodo antecedente il tempo dello storia.
2) L’interpretazione prelogica (L. Lévy-Bruhl) trasferisce sul m. i caratteri ritenuti costitutivi della stessa ‘mentalità primitiva’, di cui è il prodotto: frammentarietà interna ed esterna dei m. connessa all’accettazione della contraddizione logica, alla contraddittorietà di questo tipo di pensiero in sé; indistinzione tra i diversi piani naturale, sociale, interiore, come di quello reale/onirico, per la indifferenza alla causalità e all’esperienza nella relazione tra fenomeni che vengono collegati tra loro indistintamente attraverso il criterio della partecipazione mistica. In sostanza, il m. è una forma espressiva ‘prelogica’, caratteristico delle ‘società primitive’ e, in quanto tale, appartenente e derivato da un periodo antecedente la formazione del ‘pensiero logico’.
3) Per l’interpretazione linguistico-religiosa (E. Durkheim, M. Mauss) l’osservazione e la classificazione del mondo si avvalgono del sistema linguistico della denominazione là dove, per insufficienza del linguaggio primitivo, ancora incapace di esprimersi per concetti e di procedere per tassonomie, uno stesso fenomeno può venir definito con più termini o uno stesso termine venir applicato a diversi campi. Da questa proliferazione verbale nasce la credenza che a tali parole corrispondano personalità distinte o che un’unica personalità sovraintenda a diversi campi. È la nascita del m. che, per questo modo di procedere della formazione del linguaggio verbale, assomma in sé l’insieme di queste figure, agendo poi con un proprio potere di conferma, stabilità e imposizione ‘morale’. Al pari delle componenti religiose dell’individuo e della società, il m. costituisce un importante fattore di coesione sociale proprio in quanto espressione di ‘rappresentazioni collettive’ fin dal nascere della società e del primo linguaggio umano. Solo con il tempo l’opera creatrice del linguaggio, determinando costruzioni sempre più complesse, porta alla necessità di distinzioni interne e di specificazioni delle diverse figure in un apparato organico definibile come mitologia, che pur tuttavia continua a caratterizzarsi per la sua collocazione al di fuori del tempo (l’età mitica).
4) L’interpretazione sociologica (B. Malinowski). Premesso che il carattere costitutivo del m. non consiste nel suo valore simbolico di racconto, ma nella diretta espressione del suo contenuto, l’analisi viene condotta intorno alle relazioni che questo manifesta e stabilisce con le strutture sociali. La spiegazione del carattere del m. consiste allora nell’esplicitare la specifica funzione che questo svolge nel suo fondamentale rapporto con il piano sociale, come sua rappresentazione etica. Il m. è esso stesso un’importante forza di coesione sociale per la sua funzione operativa di valorizzazione e ‘codificazione di un credo’. In questo senso "si rigenera continuamente, e ogni cambiamento storico crea la sua mitologia che, tuttavia, si ricollega solo indirettamente al fatto storico, perché il m. è un costante prodotto dello status sociologico che ha bisogno di precedenti e della regola morale che ha bisogno di sanzioni".
5) Per l’interpretazione strutturale (C. Lévi-Strauss) il significato di un m. non risiede nel m. stesso ma nel sistema di relazioni che collega tra loro il complesso dei m. elaborati da una società. L’analisi strutturale sovraintende e ha come obiettivo l’isolamento degli elementi minimi costitutivi di un m. per poi individuare le trasformazioni che ciascun elemento ha avuto nel passare da un m. all’altro, come da una società all’altra, e le regole della sua composizione.
Parallelamente al vasto campo di queste interpretazioni affermatesi negli studi etno-antropologici, ma in parte anche in connessione con queste, per completezza di esposizione bisogna almeno menzionare qui altre modalità interpretative del m. quali la psicanalitica, la semiologica e la filosofico-teologica.
Attributo costitutivo del termine è il suo legame con il connotato sociale: il m. è un racconto collettivo che, in connessione con altri m., si riferisce e ci riferisce intorno agli dei, agli eroi, all’origine dei popoli e del mondo; al culto che si accorda alle diverse figure e ai riti connessi a queste figure come alle concezioni fondative della natura; agli emblemi simbolici sotto i quali si rappresentano le attribuzioni di queste figure e parti della conoscenza.
Da qui deriva la definizione stessa del termine ‘mitologia’ come complesso dei m. che per un verso costituiscono una parte specifica del patrimonio sociale di tradizione orale di un popolo (ancorché successivamente trascritto), trasmesso nel tempo attraverso le generazioni; per un altro verso appartiene e riguarda il più generale sistema di credenze di un popolo, come parte del suo più ampio apparato simbolico.
Inoltre il m., come genere narrativo specifico, è caratterizzato:
a) dal non seguire la linearità temporale dei fatti, per cui gli episodi di uno stesso personaggio possono essere relazionati a tempi diversi e a personaggi ulteriori, indipendentemente dalla loro ipotetica distanza temporale;
b) dalla possibile contraddittorietà degli aspetti di configurazione dei fatti e dei personaggi, per cui la definizione o il riferimento simbolico di una stessa figura può essere, ad esempio, una volta la luce e un’altra volta l’oscurità, come una sua definizione caratteristica essere di volta in volta una o un’altra;
c) dall’essere un sistema aperto in cui le diverse versioni di uno stesso racconto possono, con il tempo, essere inglobate nel racconto stesso, come sua parte costitutiva, e ciò per il fatto che la funzione del m. è quella del riferire/produrre un racconto non tanto in sé, ma a partire dal suo senso al tempo della narrazione stessa o, meglio, della sua performance narrativa.
Dopo questo primo livello enunciativo è bene esplicitare come il termine m. sia carico di significati determinatisi storicamente sia nella prospettiva epica, cioè nell’ambito del processo di trasformazione che la specifica società detentrice dei m. ha subito nel tempo, sia nella prospettiva etica, cioè a seconda dei diversi approcci di studio elaborati da discipline esterne alle stesse aree culturali detentrici del m.
Per questo, per specificare il senso delle implicazioni semantiche avute nel corso del tempo dal termine, bisogna partire da alcuni momenti storici, verificandone il diverso portato.
In primo luogo, e seguendo la prospettiva epica, il significato originario di m. è proprio della cultura dell’antica Grecia e riscontrabile in autori come Omero ed Esiodo (sec. VII a.C.) e anche successivamente in Euripide (sec. V), con l’accentuazione però del legame concettuale del termine con quello di ‘tradizione’.
Poi, con il passaggio dalla oralità alla scrittura e, quindi, con la raccolta e messa in scrittura di racconti e storie tradizionali (dai m. alle genealogie, alle gesta eroiche, ecc.), è proprio a partire da quest’ultimo periodo che prima i logografi e poi filosofi e storici spostano il significato del termine a favore di ‘narrazione fantastica’. Infatti, già per il filosofo Senofane (sec. V), prima ancora che per Platone (sec. IV), il m. è frutto di invenzione ed erroneo; come anche per gli storici Tucidide (sec. V) e poi Erodoto (sec. I d.C.).
Con questo significato di ‘discorso metaforico e fantastico’, con questo nuovo connotato negativo di ‘finzione’, al termine mythos viene contrapposto concettualmente quello di logos, di ‘discorso razionale’ alla cui luce il popolo deve essere unitariamente governato ed educato. Questa contrapposizione è connessa a quella coeva tra oralità e scrittura, là dove i termini sono connessi anche trasversalmente (mythos-oralità, logos-scrittura).
Con questa accentuazione del significato di m. come narrazione fantastica, pur distinta da altri generi del patrimonio narrativo tradizionale (leggenda, favola, aneddotica, ecc.), si fa assumere al complesso dei m. un campo autonomo: quello della mitologia.
Ed è qui che, in epoca moderna, nel XIX secolo si apre la seconda prospettiva detta sopra con la nascita degli studi sulla mitologia, come campo d’indagine comparativo della dialettologia e dell’etnologia (M. Müller). I racconti mitologici delle antiche civiltà del Mediterraneo presentano analogie con i m. e i costumi dei popoli altri, che la moderna scienza linguistica e antropologica incontra per la prima volta direttamente sul terreno della ricerca empirica. Punto di unione tra i due campi, ma anche presupposto conoscitivo stesso di questi studi comparativi, è la concezione del m. come deposito di credenze accumulate e prodotto di una forma di pensiero propria, distinta e separata dal pensiero logico e scientifico sia dal punto di vista espressivo sin da quello conoscitivo, e interpretabile in una dimensione evoluzionistica.
Limitandoci agli studi etno-antropologici, possiamo seguire una panoramica sintetica delle diverse interpretazioni che del m. sono emerse nel corso del tempo.
1) L’interpretazione naturalistica (scuola tedesca) sostiene che ogni m. possiede, nella sua essenza e realtà ultima, un riferimento a un qualche fenomeno naturale, mentre per l’interpretazione storica (W. H. Rivers) esso rappresenta un documento del passato, elaborato in forme espressive sue proprie e connaturate al tipo di società che lo produce e che se ne avvale. Per entrambe il m. appartiene ed è espressione di un periodo antecedente il tempo dello storia.
2) L’interpretazione prelogica (L. Lévy-Bruhl) trasferisce sul m. i caratteri ritenuti costitutivi della stessa ‘mentalità primitiva’, di cui è il prodotto: frammentarietà interna ed esterna dei m. connessa all’accettazione della contraddizione logica, alla contraddittorietà di questo tipo di pensiero in sé; indistinzione tra i diversi piani naturale, sociale, interiore, come di quello reale/onirico, per la indifferenza alla causalità e all’esperienza nella relazione tra fenomeni che vengono collegati tra loro indistintamente attraverso il criterio della partecipazione mistica. In sostanza, il m. è una forma espressiva ‘prelogica’, caratteristico delle ‘società primitive’ e, in quanto tale, appartenente e derivato da un periodo antecedente la formazione del ‘pensiero logico’.
3) Per l’interpretazione linguistico-religiosa (E. Durkheim, M. Mauss) l’osservazione e la classificazione del mondo si avvalgono del sistema linguistico della denominazione là dove, per insufficienza del linguaggio primitivo, ancora incapace di esprimersi per concetti e di procedere per tassonomie, uno stesso fenomeno può venir definito con più termini o uno stesso termine venir applicato a diversi campi. Da questa proliferazione verbale nasce la credenza che a tali parole corrispondano personalità distinte o che un’unica personalità sovraintenda a diversi campi. È la nascita del m. che, per questo modo di procedere della formazione del linguaggio verbale, assomma in sé l’insieme di queste figure, agendo poi con un proprio potere di conferma, stabilità e imposizione ‘morale’. Al pari delle componenti religiose dell’individuo e della società, il m. costituisce un importante fattore di coesione sociale proprio in quanto espressione di ‘rappresentazioni collettive’ fin dal nascere della società e del primo linguaggio umano. Solo con il tempo l’opera creatrice del linguaggio, determinando costruzioni sempre più complesse, porta alla necessità di distinzioni interne e di specificazioni delle diverse figure in un apparato organico definibile come mitologia, che pur tuttavia continua a caratterizzarsi per la sua collocazione al di fuori del tempo (l’età mitica).
4) L’interpretazione sociologica (B. Malinowski). Premesso che il carattere costitutivo del m. non consiste nel suo valore simbolico di racconto, ma nella diretta espressione del suo contenuto, l’analisi viene condotta intorno alle relazioni che questo manifesta e stabilisce con le strutture sociali. La spiegazione del carattere del m. consiste allora nell’esplicitare la specifica funzione che questo svolge nel suo fondamentale rapporto con il piano sociale, come sua rappresentazione etica. Il m. è esso stesso un’importante forza di coesione sociale per la sua funzione operativa di valorizzazione e ‘codificazione di un credo’. In questo senso "si rigenera continuamente, e ogni cambiamento storico crea la sua mitologia che, tuttavia, si ricollega solo indirettamente al fatto storico, perché il m. è un costante prodotto dello status sociologico che ha bisogno di precedenti e della regola morale che ha bisogno di sanzioni".
5) Per l’interpretazione strutturale (C. Lévi-Strauss) il significato di un m. non risiede nel m. stesso ma nel sistema di relazioni che collega tra loro il complesso dei m. elaborati da una società. L’analisi strutturale sovraintende e ha come obiettivo l’isolamento degli elementi minimi costitutivi di un m. per poi individuare le trasformazioni che ciascun elemento ha avuto nel passare da un m. all’altro, come da una società all’altra, e le regole della sua composizione.
Parallelamente al vasto campo di queste interpretazioni affermatesi negli studi etno-antropologici, ma in parte anche in connessione con queste, per completezza di esposizione bisogna almeno menzionare qui altre modalità interpretative del m. quali la psicanalitica, la semiologica e la filosofico-teologica.
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Bibliografia
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- LESLIE Charles (ed.), Uomo e mito nelle società primitive, Sansoni, Firenze 1965.
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- LÉVY-BRUHL Lucien, La mitologia primitiva, Newton Compton, Roma 1973.
- LINCOLN Bruce, Myth, cosmos and society, Cambridge University Press, Cambridge 1986.
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- MAUSS Marcel, Manuale di etnografia, Jaca Book, Milano 1969.
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- REMOTTI Francesco - FABIETTI Ugo, Dizionario di antropologia, Zanichelli, Bologna 1997.
- SCHULTZ Emily A. - LAVENDA Robert H., Antropologia culturale, Zanichelli, Bologna 2010.
- SEBAG Lucien, Mitologia e realtà sociale, Dedalo, Bari 1979.
- TYLOR Edward Burnett, Primitive culture, Harper & B. Publications, New York 1958.
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Come citare questa voce
Squillacciotti Massimo , Mito, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (23/11/2024).
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